Chiesa del Santissimo Crocifisso

0:00 / 0:00
Ascolta

In un ampio slargo, sorgeva agli inizi del Seicento il convento dei Padri Francescani Riformati annesso alla chiesa del Crocifisso.
Il sito era già stato utilizzato in antico per luoghi di culto citati dal Perdichizzi: la venerazione per il martire orientale Papia si fondava su una leggenda che narrava l'arrivo delle spoglie del santo sulla spiaggia di Ponente, miracolosamente portate dal mare.

Una antica chiesa, forse dedicata alla Madonna di Lampedusa, era stata restaurata nel 1566. Nel 1618 i Padri Riformati costruirono il loro convento presso la chiesa preesistente e nel 1629 iniziarono la ricostruzione di chiesa e convento secondo un progetto finanziato dalla Città. Gli atti ufficiali modificano di poco i dati letterari : risulta infatti che i lavori del convento erano iniziati nel 1620 e che nell'arco dello stesso anno l'amministrazione civica aveva ufficialmente destinato il sito, a lavori iniziati, ai frati; nel 1627 la chiesa era stata portata a buon punto grazie alle elemosine richieste anche al comune, che versò ulteriori elargizioni nel 1628 e 1630.

Ricorda il Perdichizzi che ai suoi tempi esistevano soltanto l'altare maggiore e gli altari della Madonna della Provvidenza e del Crocifisso. Durante l'assedio del 1718 il complesso monastico subì gravissime distruzioni: secondo il Piaggia crollò un dormitorio e della chiesa rimase in piedi soltanto parte del coro. Mancano notizie sulla ricostruzione settecentesca: probabilmente risale a questa fase il grandioso altare ligneo realizzato dal frate Lodovico Calascibetta da Petralia Sottana, morto nel 1729, essendo poco probabile che la realizzazione sia potuta sfuggire alla distruzione della chiesa. Importanti monumenti funerari furono eretti nel corso del Settecento da alcune famiglie private e nel 1798 il culto del Crocifisso ricevette nuova forza dalla miracolosa lacrimazione del simulacro di frate Umile da Petralia.

Nel 1934 l'intero complesso fu rimaneggiato e la chiesa dotata di una nuova facciata disegnata da Giuseppe Mallandrino, che si ispirò all'architettura del Settecento siciliano ecletticamente riformulata. L'interno della chiesa ricevette una nuova sistemazione e fu affrescato da Salvatore e Guido Gregoretti. L'esame dello stato di fatto del complesso consente di individuare le varie fasi costruttive.
Il convento, a pianta rettangolare, si articola intorno al chiostro sorretto da semplici colonne in arenaria di ordine tuscanico; una cisterna si apre sul lato meridionale e resti di affreschi si notano in alcune lunette, particolarmente nell'ingresso. A piano terra si apre il vasto ambiente del refettorio in cui si trova un antico dipinto raffigurante l'Ultima Cena. L'involucro esterno dell'edificio ha molto risentito dei rimaneggiamenti ma non vi è motivo di credere che il Mallandrino abbia sostanzialmente modificato la distribuzione delle aperture ed i caratteri dell'austero fabbricato.

Al monastero era annesso un grande giardino che si estendeva verso il mare e di sua pertinenza dovevano essere le case su via Grotta Polifemo, pervenuteci in aspetto ottocentesco, come evidenzia un blasone francescano sull'ultima casa al n. 43. Nel vasto piano della chiesa sorge una colonna crocifera di antica struttura ma recentemente restaurata nel basamento che è stato rivestito di lastre di marmo.
La facciata della chiesa è ad ordine unico con paraste giganti corinzie abbinate che affiancano il sobrio portale dal timpano spezzato su cui si apre un elegante oculo: un vistoso movimento concavo-convesso anima la facciata, coinvolgendo il grande timpano con stemma francescano tra pesanti festoni e volute.
L'interno è a navata unica con abside quadrangolare e pronao.

Nella navata sono sistemati tre altari per lato, disposti simmetricamente entro archi: l'attuale sistemazione risente di interventi recenti, con marmi di scarso pregio salvo il paliotto intarsiato settecentesco dell'altare di San Pasquale. Tutti sono dotati di statue policrome piuttosto recenti: può ricordarsi quella della Madonna della Provvidenza il cui culto è attestato già dal Perdichizzi. Lo scrittore tuttavia menziona una statua in marmo che potrebbe essere andata distrutta nel 1718. Una targa (I devoti // Cav. F.sco Iannello // F.sco Daví // 1903) ricorda lavori di sistemazione.
Grande importanza ha l'altare del Crocifisso: artistico manufatto ligneo fu scolpito nel 1635 da frate Umile da Petralia a spese della famiglia Baele.
La parete di fondo della cappella, circoscritta dall'arco, è stata sistemata (coprendo un precedente dipinto delle Marie ai piedi del Crocifisso) con antichi reliquiari entro teche e cornici lignee riccamente scolpite. L'altare è stato rimaneggiato con marmi ottocenteschi.

Gli affreschi realizzati dai Gregorietti nel 1934 raffigurano l'apoteosi di San Francesco nella volta ed episodi della vita del santo nelle vele.
Iscrizioni storiche ed il monumento D'Amico del 1885 sono sistemati all'ingresso. Accanto alla porta principale è il monumento Zirilli del 1769 con grande ritratto marmoreo del defunto entro ovale dalla cornice intarsiata, accompagnato dallo stemma di famiglia.
Al centro della navata sono posti i monumenti dedicati a Caterina Patti Lucifero (1750) ed al marchese Antonio D'Amico (1761), imponenti realizzazioni marmoree riccamente intarsiate, con sarcofagi, statue allegoriche e grandi ritratti dei personaggi.
Numerose iscrizioni a suo tempo pubblicate dal Piaggia sono andate perdute a seguito del rifacimento della pavimentazione.
La sistemazione della sacrestia risale ai lavori eseguiti nel 1934, come rivela l'imponente armadio ligneo dalle sobrie linee eclettiche. Si conserva un lavabo in marmo con cherubino.