Tela quaresimale

Autore: Giuseppe Gesualdo Russo (Barcellona Pozzo di Gotto (?), documentato fra il 1770 e il 1805)

Datazione: 1791

Materiale: Olio su tela

Dimensioni: cm 860×655

Luogo: Milazzo, duomo di Santo Stefano Protomartire

Fra i manufatti di analoga tipologia il telo quaresimale si distingue per il programma iconografico complesso e ricco di suggestioni teologiche. Proveniente dalla chiesa di San Giacomo, la grande superficie di lino tinto accoglie, persino nelle parti decorative, allusioni cristologiche ed emblemi della Passione nel quadro di un studiato sincretismo fra Antico e Nuovo Testamento. Conosciuti nella tradizione nordica come Fastentucher, i teli quaresimali si legano alla lettura del passo giovanneo sul nascondimento di Cristo durante la prima settimana di Passione secondo il calendario tridentino per essere rimossi dall’area presbiteriale la notte del sabato Santo alla pronuncia del versetto “velum templi scissum est”. Nella sua funzione penitenziale il velum alludeva al tessuto prezioso steso fra le colonne del tempio di Salomone per separare la zona dell’Arca dal resto dell’edificio e simboleggiava il buio che oscurava le menti degli uomini prim della Passione di Cristo. La rimozione, come ancora avviene con enfasi scenografica in molti centri siciliani, simboleggiava “la verità della legge divina rivelata all’umanità attraverso il sacrificio di Cristo”. Le caratteristiche formali rimandano anch’esse al clima penitenziale, a partire dall’uso dell’economico lino in riferimento al tessuto che aveva avvolto il corpo di Cristo, fino all’adozione di una pittura monocroma quale tecnica povera, priva cioè di un elaborato cromatismo e pertanto adatta allo spirito quaresimale.

Rispetto ad altri esemplari dell’area tirrenica come quello di Santa Lucia del Mela e Mistretta basati su scene specifiche della passione di Gesù, la composizione iconografica del Velum di Milazzo trae origine dalla narrazione del Libro dei Re e dal capitolo IX della Lettera agli ebrei i cui versetti sono integralmente riportati dalla Vulgata Clementina nel finto cartiglio in basso con il mantenimento di “nostrano” in luogo di “vestram”. Il telo dal caratteristico colore azzurro ottenuto probabilmente con un colorante di natura organica (indigofera tintoria) o, secondo un uso siciliano, con sandalo e verderame è tratteggiato verosimilmente con pigmenti a base di nerofumo e rialzi a biacca. Di forma rettangolare, presenta una apertura al centro della zona inferiore, in modo tale da poter essere collocata in asse davanti all’altare maggiore, issato con carrucole di legno (curroli) e tetto mediante 45 anelli d’osso (buccole). La cornice è interamente decorata con motivi floreali nei quali si intersecano grappoli d’uva, spighe di grano e i simboli della Passione (il Titulus crucis,a i dadi, la mano o il guanto che colpí il volto di Gesù durante la derisione, la lanterna, i chiodi e il martello). In alto, circondata da una carola di angeli, la figura di Dio Padre e lo Spirito Santo indica la croce trasportata da angeli con l’Agnus Dei che promana un fiotto di sangue raccolto in un calice.

Alla base della scena, probabilmente frutto di un’interpretazione del libro dell’Apocalisse, sei regnanti con corona si prostano di fronte all’evento in atto di adorazione. La scena centrale rimanda al Sacrificio di Elia (a sinistra) contro i falsi profeti di Baal sul monte Carmelo. Il rogo del giovenco sull’altare illustra segnatamente l’evento descritto nelle Sacre scritture: “Cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto”; a destra si assiepa il popolo sbigottito che riconosce il segno divino. Ai margini inferiori troviamo le Virtù della Fede (sinistra) e della Speranza (a destra). Grazie al provvidenziale ritrovamento di documenti relativi al telo è stato possibile ricondurre l’opera al pittore Giuseppe Gesualdo Russo la cui personalità, documentata fra il 1770 e il 1805, è stata recentemente approfondita. I documenti hanno inoltre consentito di confermare la data del 1791 apposta in corrispondenza del margine inferiore destro e di individuare le maestranze coinvolte nell’allestimento del manufatto. La pittura di Russo, nativo di Barcellona Pozzo di Gotto e operante in molti centri della provincia messinese, è esemplata sui modelli del barocchetto romano e sulle tipologie devozionali cappuccine, data anche la sua formazione giovanile presso padre Fedele da San Biagio. La stessa condizione di ecclesiastico giustifica le argomentazioni teologiche evidentemente congegnate da Russo medesimo, oltre alla specifica conoscenza dettata dalla consuetudine con le suppellettili ecclesiastiche fedelmente rappresentati nella grande superficie dipinta.

 

Buda V., Lanuzza S. (a cura di), Tesori di Milazzo. Arte sacra tra Seicento e Settecento., Milazzo 2015